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Gavigno è un piccolo paese immerso nella natura in una conca formata da alcune delle cime più alte del territorio pratese, come il Monte delle Scalette, la Zucca, il Monte della Scoperta.
Probabilmente di costituzione Longobarda, fu dei Cadolingi, poi degli Alberti per poi finire, come è avvenuto per molti altri territori valbisentini, sotto il dominio dei Conti Bardi di Vernio, feudatari che imposero agli abitanti del paese, che vivevano di coltivazioni, pastorizia e lavori del bosco, regole abbastanza rigide. La vita del popolo di Gavigno è rimasta per secoli legata al mondo rurale, con donne dedite ai lavoretti di ricamo e uncinetto e gli uomini che stavano lunghi periodi in Maremma ed in Corsica, impegnati nei lavori del bosco, per poter mantenere la famiglia.
La svolta, per Gavigno, è avvenuta negli anni ’60 del secolo scorso, quando le case dei genitori e dei nonni –rimaste perlopiù vuote dopo la Seconda Guerra Mondiale, come è avvenuto per altri paesi dell'Appennino - tornarono ad essere abitate nel periodo estivo dai figli e dai nipoti. In quel periodo vennero costruite anche nuovi edifici, villette di pregio spesso in stile alpino che, insieme alla nascita di un’attivissima pro loco, nel 1969, contribuirono a far diventare Gavigno una delle mete turistiche più gettonate della Vallata.
Tutt’ora il paese, che d’inverno conta su una manciata di abitanti, torna a vivere ogni estate: il fresco dei suoi 748 metri di altezza, la natura selvaggia, i castagneti, i molti sentieri che collegano Gavigno con le altre località e soprattutto che portano nella valle del Carigiola e alle famose cascate, fanno oggigiorno di Gavigno un punto di riferimento per escursioni e soggiorni.
Fra gli edifici di importanza storica segnaliamo la villa di Rotì, poco fuori dall’abitato - in epoca medievale possedimento dei monaci vallambrosani (convento prima, "spedale", poi) e in tempi recenti dei conti Guicciardini, che alla fine del 1800 la fecero risistemare per trasformarla in residenza stagionale - e il tabernacolo di Gavigno, struttura di probabile origine settecentesca adibita al riposo dei viandanti e della preghiera che sorge lungo la strada di collegamento con Fossato, proprio sullo spartiacque che divide le vallate della Limentra e del Bisenzio e dove passa il sentiero Cai 00, che in pochi chilometri porta al confine di regione. La struttura del paese è comunque attribuibile al XVI secolo e segnaliamo la presenza, in passato, di un mulino, detto di Gavigno, il cui ultimo gestore è stato Florindo Pieraccini. Dell’antico opificio idraulico adesso è visibile soltanto il margone.
La chiesa, sebbene nella sua struttura in sasso molto semplice, in stile neomedievale, possa far pensare ad un’origine antica, è stata costruita soltanto nel 1932 dagli abitanti del paese. In precedenza le famiglie di Gavigno erano legati in tutto e per tutto a Cavarzano, compreso servizio liturgico e sepolture. La chiesa è’ dedicata a Sant’Agostino.
Gli antichi insediamenti lungo il torrente Carigiola
Poco sotto Gavigno, dalla strada sterrata che scende dalla Fonte De’ Piani, si arriva alla valle incantata del Carigiola,un luogo rimasto incontaminato dove la natura, tornata selvaggia, incontra la storia e la tanta acqua del torrente Carigiola e dei suoi affluenti.
Dopo aver passato le ultime case dell’abitato di Gavigno e dopo aver incrociato il sentiero Cai che, passando dal piccolo insediamento del Pontaccio (abitato fino a pochi decenni fa, adesso in malora) arriva al Peraldaccio, e qualche svolta, si arriva al piccolo nucleo de La Centrale, che si divide fra Case Torri (dal cognome delle famiglie storicamente proprietarie delle abitazioni) e il Mulino di Genesio, a cui si arriva da una piccola via con forte pendenza. Dietro Case Torri passa un sentiero Cai che scende verso il fosso e in breve tempo conduce alla cascate del Carigiola. Il sentiero proviene dal ponte che permette di superare la Carigiola al Mulino di Genesio, che scende da Cavarzano.
Il Mulino di Genesio prende il nome di uno degli ultimi gestori, Genesio Piacenti, vissuto a cavallo fra il 1800 e il 1900. L’opificio, a tre macine, si trasformò nel 1921 in una centrale idroelettrica, grazie ad una società che vedeva insieme abitanti di Cavarzano ( compresa la famiglia Marchi i cui discendenti sono gli attuali proprietari della struttura) e il parroco don Guglielmo Calcagnini. Una piccola turbina fu installata al posto delle tre macine e l’attività permetteva di portare elettricità a diverse frazioni del circondario, smistata da una cabina tutt’ora visibile in uno degli edifici. Nel 1941 la Società Valdarno divenne proprietaria della centrale, che rimase attiva fino al 1964. Successivamente, l’utilizzo del petrolio per la produzione di energia fece dismettere diverse centrali idroelettriche fra cui quella lungo il Carigiola.
Nel 2016 gli attuali proprietari dell’edificio hanno ripristinato la centrale idroelettrica nel sottosuolo dell’area del vecchio margone. La turbina prende acqua dal torrente di Gavigno ed è in produzione quando il rio ha acqua in abbondanza.
Proseguendo la strada sterrata, in un allargamento della vallata, si incontra l’abitato del Peraldaccio, anch’esso collegato al territorio di Vernio da un antico ponte. Il borgo è suddiviso fra la parte “di sopra” e quella “di sotto”. Superate le prime case lungo la strada, una viuzza stretta e in pendenza porta al torrente. La strada passa da un antico lavatoio e attraversa il vecchio abitato fatto di vicoli, case in pietra e vecchie aie per portare al torrente.
Arrivati al greto del Carigiola troviamo, sulla sinistra, il Mulino Azzini (o Della Menica), adesso dismesso, e poco dopo, superato il ponticino su cui passa il sentiero per Gagnaia, troviamo il Mulino di Donato, utilizzato fino a qualche decennio fa per macinare grano e castagne. Il mulino è stato al centro di una recente ristrutturazione finalizzata al ripristino delle originarie funzioni soprattutto per didattica, ma tutt’ora i lavori si sono fermati al rifacimento del tetto. Ben visibile, nella struttura, la torretta di smistamento della corrente proveniente da La Centrale.
Tornati sulla strada principale, proseguendo verso sud , troviamo l’ultimo borgo all’interno della vallata, Sanguineta: un insediamento di origine antica, di poche case dentro cui passava la vecchia mulattiera (la strada odierna passa da sotto) e un mulino, quello di Battibecco, di cui rimangono pochi ruderi inghiottiti dalla vegetazione in prossimità del ponte sul rio di Sanguineta. Poco sopra, l’antico podere di Sanguineta (detto anche Podere dei Macchi, per il nome dei recenti proprietari), a cui si arriva da una strada sterrata che conduce al crinale e alla via di Gavigno.
Procedendo ancora verso sud si incrocia la Sp2, sul tracciato dell’antica mulattiera che metteva in collegamento i borghi del Carigiola con Cantagallo e i territori limitrofi.
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